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I cambiamenti climatici sono un tema molto discusso negli ultimi anni che spesso si porta dietro false credenze e convinzioni.
Vediamo i falsi miti più comuni sui cambiamenti climatici.
Quest’affermazione è in parte vera infatti, nella lunghissima storia del pianeta, il clima è cambiato in modo ciclico. Quello che stiamo vivendo ora, però, è un rapidissimo surriscaldamento globale che ha portato in poche decine di anni una variazione che un ciclo naturale dovrebbe portare alla luce in migliaia di anni.
Uno studio pubblicato da alcuni scienziati su Nature Geoscience mostra come il tasso di aumento della temperatura sia visibilmente più veloce di quello registrato nell’ultima estinzione di massa risalente a 56 milioni di anni fa.
Quando si parla di riscaldamento globale non si fa riferimento alle temperature meteo registrate nel naturale ciclo delle stagioni.
Il riscaldamento globale è un dato calcolato sulla temperatura media dell’intera superficie terrestre nell’arco di alcuni decenni.
Esiste una convinzione che basa la teoria dei cambiamenti climatici sulle naturali caratteristiche e attività della terra.
Questa teoria è vera, il clima ha subito variazioni per cause naturali in passato. L’attività solare per esempio ha influenzato aumenti improvvisi di caldo nella storia. Quando però viene misurato l’impatto reale del sole, e di altri fattori naturali che possono influire sull’aumento di temperatura, il dato da considerare rimane la CO₂.
Dal 1970, la temperatura media globale è aumentata con un ritmo 170 volte più veloce rispetto agli ultimi 7 mila anni.
In un rapporto di valutazione dei costi-benefici emesso dell’IPCC, è evidente come nel lungo periodo la riduzione delle emissioni di CO₂ porti solamente benefici economici.
Ignorare i cambiamenti climatici potrebbe portare a un calo del 20% del PIL globale.
Rallentare l’industria è da sempre un tema che si scontra con interessi economici e politici. Spesso sono proprio le industrie a divulgare la falsa credenza che ormai non ci sia più nulla da fare, così da continuare indisturbate le loro attività produttive.
Come sostiene Jim Skea, co-presidente del Workin Group III dell’IPCC, durante una conferenza mondiale, in realtà siamo ancora in tempo per fermare l’aumento di temperatura a + 1,5 gradi agendo tempestivamente e limitando moltissimo i danni.
I complottisti dei cambiamenti climatici si basano sull’inaffidabilità dei rilevamenti di temperatura o, addirittura, sulla falsificazione dei dati da parte degli scienziati.
A regolamentare e controllare i dati raccolti dalla comunità scientifica vi sono molti enti differenti, proprio per incrociare e risultati e comprovare la veridicità di quanto emerso.
Tra i principali enti troviamo la NASA, servizio meteo Inglese e Giapponese e il Centro Europeo Prevenzioni Meteo.
Quando la comunità scientifica afferma che abbiamo solo 12 anni per fermare l’aumento della temperatura, fa riferimento al contenimento dei livelli entro il +1,5 gradi.
Se dovessimo andare oltre questa soglia ci sarebbero eventi che andrebbero gradualmente a ridurre la qualità della vita sulla terra fino a una potenziale estinzione nei prossimi decenni.
Questo non significa che dopo il 2030 succederà un cataclisma.
Calcolare l’impatto del cibo sui cambiamenti climatici è molto complesso. Vi sono moltissimi fattori che influenzano la comparazione tra coltivazione di alimenti vegetariani e allevamenti animali.
Molto dipende da quali piante si coltivano, come vengono fertilizzati i raccolti, dove si coltiva, come vengono allevati gli animali, con che cibi vengono nutriti.
Non si può ridurre tutto al “consumare solo verdura riduce l’impatto sul pianeta”. Potrebbe non essere così.
La quantità di carbonio prodotta dai voli aerei si stima sia solo il 2,4 % del totale di emissioni globali, circa 1 miliardo di tonnellate su 42 miliardi complessivi.
È evidente che se si fermasse tutto il traffico aereo, la riduzione di emissione di CO₂ sarebbe irrisoria rispetto a quanto realmente necessario.
La Cina, con la sua estensione e numero di popolazione, è il Paese che brucia più carbone in assoluto mantenendo il primato con il 30% delle emissioni globali.
Quello che non viene mai detto, però, è l’impegno della Cina nel migliorare. Pechino è infatti da anni il maggiore investitore nella ricerca e utilizzo di energie rinnovabili.
Considerando poi le emissioni di CO₂ pro capite, un cittadino Americano emette in media il doppio di uno Cinese e i Paesi con la media più alta sono i produttori di petrolio: Arabia Saudita, Qatar e Emirati Arabi Uniti.